Confindustria Vicenza

Vescovi: "Gli imprenditori di Vicenza bocciano il Governo. Forse peggio del precedente"

Rilevato il sentiment delle imprese vicentine: è minimo storico.

VI30055 | MEDIA

Per il quinto trimestre consecutivo, il Leading Indicator Vicenza (LIV) - clicca qui per vedere i dati -, indice che riassume la fiducia degli imprenditori vicentini in riferimento allo stato di salute dell’economia, rimane in zona negativa. Anzi, da luglio 2015, ovvero da quando si effettua il rilevamento, il combinato disposto del sentiment rilevato ad ottobre 2019 sullo stato dell’economia attuale (secondo dato peggiore di sempre) e sulla previsione a 6 mesi (dato peggiore in assoluto), tocca il minimo storico.

Su una scala da + a – 100, la valutazione sullo stato dell’economia ad oggi cala da un indice di -9,1 dello scorso luglio a -14,6 di ottobre (fece peggio solo ad aprile 2019 con -15.0).

L’indice diventa nerissimo, poi, se si parla della valutazione degli imprenditori vicentini sullo stato dell’economia a 6 mesi che tocca il punto più basso dal 2015: -27,7.

L’indice, realizzato per il Centro Studi di Confindustria Vicenza dall'équipe di Andrea Beretta Zanoni, professore ordinario di strategia aziendale all'Università di Verona, osserva anche il dato riguardante l’Italia nel suo insieme e i principali stati esteri che con il Paese hanno i maggiori rapporti commerciali. 
Anche qui, ci troviamo di fronte ad un fatto inedito: tutti i paesi presentano un indice negativo con aspettative in peggioramento. 

“Le aspettative a sei mesi a livello europeo – spiega il prof. Beretta Zanoni - sono tutte in peggioramento anche se con diversa intensità: Italia e Francia registrano un lieve calo (rispettivamente -0,6 e -0,2) mentre persiste il forte peggioramento per quanto riguarda l’indice relativo alla Germania, che passa da -13,0 a -15,5, registrando un nuovo minimo. Indicazioni negative emergono anche per quanto riguarda l’andamento degli Stati Uniti che fino ad oggi si erano mantenuti gli unici in territorio positivo tra le aree considerate e che ora – per effetto di una variazione negativa nell’ultimo trimestre pari a 5,8 – si posizionano in area negativa con un valore di -3,4, vicino al minimo assoluto registrato a gennaio 2016 (-4,0); da notare come negli ultimi 2 anni di rilevazioni, l’indice relativo agli Stati Uniti sia passato da 18,2 del gennaio 2018 al -3,4 attuale”. 

“Dopo oltre un anno di stagnazione e un clima di sfiducia degli imprenditori, da cui dipendono investimenti e occupazione, da allarme rosso; non possiamo non affermare che la politica economica e industriale del nuovo Governo sia stata fortemente bocciata dai nostri imprenditori – afferma il Presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi - Questo governo prosegue, praticamente senza soluzione di continuità, sulla strada drammatica intrapresa dal precedente. Anzi, forse peggio, perché non solo non c’è una politica industriale, ma si stanno facendo danni ulteriori.
Reddito di cittadinanza, Quota 100 e Decreto Dignità sono ancora lì, tali e quali, e sono in arrivo una serie di tasse sui produttori che non comporteranno alcun effetto positivo né sui comportamenti, né sulle finanze. Il ritorno dello statalismo è ai massimi storici, con lo Stato che non mantiene le promesse e che pensa di nazionalizzare aziende decotte.
Un vero masochismo anti-industriale del secondo paese più manifatturiero d’Europa. 

Aggiungiamo, poi, che l’imprenditore è considerato come un criminale a prescindere, viste anche le ultime misure che estendono fuori da ogni grazia di Dio la sfera penale a fatti economici, senza contare le misure eccezionali di confisca che furono pensate per la criminalità mafiosa. Che chi evade vada perseguito e condannato non c’è alcun minimo dubbio, è gente che danneggia la collettività e altera il mercato. Ma ora stiamo andando ben oltre a quella che è la nostra tradizione occidentale di Stato di diritto, siamo alla repressione antagonista senza senso. 
Una cosa pericolosa e ipocrita: si dice che si vuol combattere l’evasione, ma la stessa maggioranza vota contro le sanzioni a chi non ha il POS obbligatorio (per finta a questo punto). E poi: è consapevole, il Ministro Bonafede, che gli insegnanti che fanno migliaia di ripetizioni in nero al pomeriggio rischiano una pena detentiva superiore a chi fa una rapina a mano armata?

Sulla Manovra 2020 è anche difficile esprimersi in modo compiuto perché a parte le nuove tasse (in un paese che, secondo il rapporto Paying Taxes 2020 ha un carico fiscale e contributivo sulle imprese di oltre 20 punti percentuali più alto rispetto alla media europea), si dice tutto e poi il contrario di tutto. La differenza, quest'anno, è che l'importo globale della manovra, IVA esclusa, è irrilevante. Penso bastasse avere il coraggio di dichiararlo subito in modo palese. Ciò che possiamo pensare, visto l’andazzo, è che tutte le manovre di bilancio di fine anno, nei prossimi 5 anni, saranno irrilevanti in termini economici, perché pendono sul bilancio circa 75 miliardi di clausole di salvaguardia da coprire, prima di fare qualunque altra cosa.

Sulle crisi aziendali, la misura del coraggio di questo Governo e del suo Premier sarà proporzionale all'impopolarità delle decisioni finali. Sul tema Alitalia, ad esempio, è da un anno che continuo a ripetere che vada chiusa e basta. Purtroppo per i suoi dipendenti, è diventata una roba inutile e la prova è che non riesco mai a trovare nessuno che mi dica di aver preso un aereo Alitalia nell'ultimo anno. Penso che non ci sia alcuna possibilità di un futuro per questa compagnia, in particolare dopo aver visto il ‘capolavoro’ del Parlamento su ILVA. La responsabilità primaria di questo pasticcio risale alla famosa iniziativa di Berlusconi con i ‘capitani coraggiosi’ che bloccò l'acquisto da parte di Air France. Ma sono passati tanti anni ormai e quindi la responsabilità oggi è di tutti e quindi di nessuno.

Allora, mi domando: è questo il piano industriale di questo governo? Utilizzare i soldi di chi lavora per sussidiare alcune selezionatissime compagnie che da decenni non stanno in piedi sul mercato e che tutti gli altri si arrangino? 
Tutto questo a fronte di un carico fiscale complessivo pari al 59,1% dei profitti commerciali delle imprese?
Poi ci domandiamo perché gli imprenditori decidono di non investire più? Di non assumere più? 
Di vendere a fondi stranieri? 
Di trasferire le produzioni? 
Ma io mi domando come facciano, in queste condizioni, a continuare a rendere l’Italia una delle potenze industriali del mondo!

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